Bianco e nero
Alcuni appunti sulla possibilità di progettare senza ricorrere al colore come strumento identificativo.
Norma,
“Antitesi alla mentalità da cartolina”. 1 Un’idea manifesto per un programma identificativo e pubblicitario che Otl Aicher inizia a sviluppare alla metà degli anni ’60 con l’intenzione di venderlo a Ulm per la comunicazione cittadina. I pini verdi diventano triangoli neri, i cieli azzurri campiture bianche, le persone sagome geometriche monocromatiche.
Il sistema, poi finalmente adottato da Isny a partire dal 1976, vide Aicher impegnato per il successivo decennio nella produzione di un centinaio di pittogrammi, montati su poster e altro materiale promozionale, esclusivamente in bianco e nero. Seguì all’inizio degli anni ’80 un esteso progetto di branding cittadino, che come è d’obbligo attirò non poche critiche locali. Nel 1985, infatti, al cambio di direzione in comune l’intero sistema venne abbandonato, in favore di un ritorno alle verdeggianti cartoline. 2
Perché ci si può sentire rappresentati da un suono o da un testo che non ha forma precisa né colore (il nome “Isny”) ma lo stesso non è valido per un’associazione figurativa a scopo puramente promozionale, ambito peraltro in cui è il distinguersi dallo status quo a generare attenzione. Esiste qua un nesso con il crescente consumismo visivo che proprio dalla metà degli anni ’80 ha portato colori e sfumature sgargianti anche laddove la sobrietà finora aveva regnato indiscussa?
Indipendentemente dall’uso di fotografie a colori, la richiesta di un “colore aziendale” si direbbe essere oggi tanto diffusa quanto l’ipotetica necessità di un logo e di un set di icone. Meglio ancora se il colore è il “proprio” colore, che nessun altro può avere, per sentirci ancora più unici e speciali. Vignelli parla di “cromotipo” 3 e lega la scelta alla sua appropriatezza rispetto all’intento comunicativo. Ma questo non vuol dire che il suo utilizzo sia strettamente indispensabile, come infatti dimostra il fatto che questo articolo parla proprio di Isny e non di qualsiasi altra colorata cittadina dell’Allgäu.
È interessante rilevare quanto l’interpretazione e l’uso del colore abbiano animato dibatti fin dall’epoca antica fra gli intellettuali europei. Spesso erano di natura teologica, per esempio nell’esegesi di Gregorio Magno al Cantico dei Cantici il colore è già descritto come una sorta di vanità che nasconde il vero significato delle cose: soffermarsi sulle parole e non sul significato viene paragonato al guardare i colori di un quadro. 4
L’interpretazione biblica è oggi chiaramente molto lontana dalle scelte del consumatore, anche se questa dicotomia rimane ancora laddove il pensiero occidentale ha avuto un’influenza. Da un lato costosi prodotti professionali dai colori neutri e dell’altro prodotti economici dedicati a un pubblico più ampio, dai colori accesi.
Dal punto di vista del progettista grafico, ogni progetto parte da una tela vuota, interamente bianca, senza confini. Il punto di partenza è sempre bianco, anche quando si lavora con grafica preesistente. Sta al progettista scegliere quali materiali, forme, elementi usare. Cosa tenere e cosa lasciare.
L’impressione popolare (da cui appunto nasce la tendenza di adornare gli oggetti dedicati al grande pubblico) è che la tela vada riempita con tutto quanto a disposizione: simboli, loghi, testi, foto, disegni, colori. Sembra che all’artista venga richiesto di avere una tavolozza con oli, acrilici e acquerelli di ogni tinta immaginabile tutti allo stesso momento per soddisfare la necessità di consumismo visivo del pubblico, per diventare un artista pop.
A sostegno di questo punto di vista di “abbondanza”, l’interpretazione etimologica della parola “colore” da parte di Isidoro di Siviglia che lo associa al termine positivo “calore”. 5
Ma la tela bianca è pura, e ogni segno ne diminuisce la purezza. Il bianco lentamente svanisce in grigio. L’artista pop vive nell’abbondanza del dopoguerra, dove l’austerità ha lasciato il posto a elettrodomestici, automobili e vacanze — il designer di oggi vive in una bulimia che ha cambiato il clima di un intero pianeta. Per questo motivo oggi prestiamo estrema attenzione a ogni segno che decidiamo di tracciare sulla nostra tela bianca. Perché riteniamo invece più corretta l’altra interpretazione etimologica della parola “colore”, quella che la associa al termine “celare”, nascondere la realtà dietro alla decorazione. 6
Cosa tracciare allora? Si usi la tipografia, il mezzo più preciso per la trasmissione di informazioni. Si usino fotografie e immagini quando indispensabili, quando complementari al testo. Cos’altro è veramente necessario? Si proceda allora col limitare proprio l’uso di quei materiali il cui significato è impossibile da quantificare: il colore, ad esempio.
Il verde simboleggia la vegetazione o i dollari? Perché il blu può rappresentare sicurezza se i giubbotti catarifrangenti sono gialli? Perché il giallo è un colore caldo quando la luce ambrata ne indica una temperatura molto bassa? Il numero di simboli e significati da considerare e memorizzare per l’uso quotidiano è già sufficientemente alto: il colore non aggiunge altro che variabili difficili da controllare.
“Il bianco e nero o la scala di grigi aiutano a compiere scelte precise”, rispondono Kasper-Florio a Ligature. 7 I colori si trovano già bellissimi in natura, ripeteva AG Fronzoni. Ockham chiede di preferire la soluzione più semplice: progettare in bianco e nero. Dalla “verità” del bianco e nero, come scrive Helmut Schmid a Designculture, sopravvive solo il colore usato come colore, indispensabile all’identificazione, alla segnalazione: il casco giallo, il link blu.
In fondo il testo nero su fondo bianco è anche la migliore condizione di leggibilità. 8 Non c’è ragione di distrarre il pubblico se non fare qualcosa di “pop”: abbiamo bisogno di più austerità.
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1
Patrick Eley, Elli Stuhler, Joy Nazzari, Guy Hulse: “Otl Aicher's Isny”. Place Press, 2017. p. 33.
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2
Ibid. p. 36.
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3
Massimo Vignelli: “The Vignelli Canon”. Lars Müller, 2010. p. 92.
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4
Cant.4 (CCSL 144:5, II. 49-54): “Sic est enim scriptura sacra in uerbis et sensibus, sicut pictura in coloribus et rebus: et nimis stultus est, qui sic picturae coloribus inheret, ut res, quae pictae sunt, ignoret.”
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5
Etymologiae, libro XIX, sezione 17, 1.
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6
Andres M. Kristol, “Color: les langues romanes devant le phénomène de la couleur”, Berne, 1978 (Romanica Helvetica, vol. 88), p. 9-14.
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7
Dennis Moya, Larissa Kasper, Rosario Florio: “Kasper-Florio — Interview”. Ligature, agosto 2014. (ligature.ch)
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8
Nicola Munari, Helmut Schmid: “Helmut Schmid”. Designculture, dicembre 2013. (designculture.it)
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9
Anja Zorko, Snježana Ivančić Valenko, Mario Tomiša, Damira Keček, Darijo Čerepinko: “The Impact of the Text and Background Color on the Screen Reading Experience”. Technical Journal 11, marzo 2017. (hrcak.srce.hr)
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